MARTEDI’ 5 MAGGIO
ORE 18,30
“Che fine han fatto Biancaneve e le Altre?
Nuovi destini tra favole e tragedie”
Reading di letture di scritti delle partecipanti
al corso di scrittura tenuto in Apriti Cielo!
da Laura Lepetit
leggono:
AUGUSTA FONI, MARIA LUISA PARAZZINI, LETIZIA CELLA, ROSSELLA GIANNOTTI, PATRIZIA PULEIO, ROSSELLA BOLOGNA,
ROSSELLA BOLOGNA
Biancaneve
Vi racconto una storia: c’era una volta una regina.
Non arricciate subito il naso. Avete mai sentito una storia che parla di un portinaio? No.
Tutte le storie, parlano di regine e di castelli.
Ma questa che sto per raccontare è una storia speciale. Perché è la storia “vera” di Biancaneve.
Ve la racconto perché sono certa che voi non sappiate come si svolsero davvero i fatti.
Dicevo, c’era una volta una regina, il cui vero nome non era Grimilde ma Marion.
Per problemi di Privacy i nomi dei personaggi della storia sono stati successivamente modificati.
Marion/Grimilde dopo la sua lunga avventura con il Cacciatore/Robin Hood tornò ad essere una brava castellana e a fare tutto ciò che competeva a una donna del suo tempo.
Filava e novellava, sottomessa e rispettabile, parlava in buone maniere, elargiva sorrisi, guardando ogni tanto fuori dalla torre, mentre aspettava che lui si decidesse a sposarla.
E per tanta amabilità un giorno il Cacciatore Robin Hood pronunciò i versi che rimasero poi nella storia;
Tanto gentile e tanto onesta pare, la donna mia quand’ella altrui saluta ch’ogni lingua deven tramando muta.
Ma la realtà era che passavano i mesi e passavano gli anni e sto cacciatore infingardo, anche se ormai cominciava a perdere i capelli e a venirgli la pancia non si decideva proprio a mettere giudizio e parlare di matrimonio. Invece di passare il suo tempo con lei, stava sempre in giro nel bosco con i soliti quater amis quater malnat vegnu su insemma compagn di gatt.
E lei cominciava a diventare un po’ paranoica.
Lei si mostrava con diadema, mantello, abito fasciante nero, sguardo assassino, scollatura, ma niente da fare.
Tutto come ai vecchi tempi. Con la scusa della caccia e delle esercitazioni militari lui era sempre fuori casa.
Ma che noia ma che barba. Una inedia mortale. Infinite giornate senza TV, Computer o qualcuno con cui parlare. Tanto che ormai cominciava a parlare con lo Specchio e a studiare ogni ruga in più che si palesava sul suo bel viso.
Fu durante una delle rare visite del Cacciatore/Robin Hood al castello….che nacque il primogenito, a cui fu attribuito il nome di Lancillotto.
Solo che questi, invece di diventare un intrepido cavaliere o almeno un “malnatt” come suo padre, ogni giorno che passava assomigliava sempre di più a una timida pulzella. Non è che Marion/Grimilde non gli volesse bene. Ma al castello proprio non ci poteva stare, un erede maschio che si vestiva manco fosse stato Candy Candy le rubava il suo rossetto rosso vermiglio, e per di più andava in giro cantando a squarciagola. E quanto cantava sto stonato!
E come si faceva chiamare? Biancaneve. Che tragedia.
A Marion Grimilde proprio non andava giù ma in fondo il ragazzo si faceva chiamare cosi per ingraziarsi proprio lei, la madre, glielo aveva detto lui, strizzandole l’occhio.
Tutti sanno che infatti il racconto inizia col sogno di Marion/Grimilde nel quale a causa di una puntura accidentale di un fuso, una goccia di sangue cadde sulla neve e lei, che era molto romantica, disse che il significato era chiaro: se avesse avuto una figlia femmina l’avrebbe chiamata Biancaneve.
Lancillotto l’aveva preso come un segno del destino. Marion/Grimilde era disperata.
Pare che sia stato cosi, che la Regina abbia detto a Robin Hood: “man mano che cresce sto ragazzo, la situazione peggiora. Non possiamo più nasconderlo. Trova tu una soluzione. Non lo voglio più sotto gli occhi.
E se proprio si deve sapere, per carità che si dica che io sono solo la Matrigna”.
“Portalo via portalo via di qua verso un’altra città, dove la gente, la gente che va non lo conoscerà”.
E lui le ha risposto. Non c’è problema- Ghe pensi mi.
In quattro e quattr’otto il Cacciatore/Robin Hood gli trova una sistemazione in una bella casetta nel bosco.
“Ecco tu abiterai qui, lontano dal castello, però cara Biancaneve/Lancillotto ci sono dei coinquilini, cerca di andare d’accordo perché gli affitti di oggi sono quello che sono. Un pochino devi darti da fare anche tu in casa. In compenso qui nel fitto del bosco anche se ti travesti o ti mimetizzi non ti vedrà nessuno. Io verro ogni tanto a trovarti e darò notizie di te a tua madre”.
In quella casetta nel bosco abitavano anche 7 orfanelli che venivano impiegati in miniera da mattina a sera.
Allora le leggi contro il lavoro minorile non esistevano ancora. E neanche i sindacati.
Il Cacciatore/Robin Hood andava a trovarli circa una volta all’anno e Brontolo che era il più vecchio, ricordava perfettamente l’ultima volta, quando aveva portato Cucciolo, e della volta prima Mammolo e prima ancora Eolo, tanto è vero che ormai cominciavano a stare un po’ stretti. E non fu tanto contento quando il cacciatore/Robin Hood si presentò quell’anno con Biancaneve/Lancillotto. Pare che avessero anche fatto una bella litigata al riguardo. Ma non ci fu niente da fare. Biancaneve doveva restare.
In realtà col passare del tempo le cose si sistemarono. Biancaneve/Lancillotto tutto sommato era contento della nuova sistemazione. Essendo di stirpe regale non doveva andare a lavorare in miniera e poteva alzarsi tardi la mattina. In fondo gli piaceva occuparsi della casa e poteva cantare a squarciagola come gli piaceva tanto. E gli orfanelli erano contenti di trovare pronto da mangiare, e la casa in ordine, dopo il lavoro in miniera.
Un giorno però a Marion/Grimilde venne all’orecchio di sto fatto che Robin Hood invece di andare a caccia con gli amici, andasse ogni tanto da solo in una casetta nel bosco. Quando chiese spiegazioni lui le disse che si stava sbagliando.
Cosi un giorno, forse per noia, forse per sospetto, e stufa di parlare solo con lo specchio, Grimilde/Marion cominciò a pensare che forse poteva andare a vedere dov’era sta casetta. In fondo una passeggiata poteva essere solo salutare.
Cosi in anonimato usci’ e cosi’ si incammino nel bosco.
Nonostante conoscesse benissimo la foresta di Sherwood, non sapendo esattamente dove andare, rischiò quasi di perdersi. Era in preda ai suoi pensieri.
Aveva sospettato che fosse quella, la casetta dove viveva Biancaneve/Lancillotto. Dato che lei aveva preferito non sapere cosa il Cacciatore/Robin Hood ne avesse fatto. Dopo tanto tempo, e qualunque fosse il mistero, forse era ora di sapere, se Lancillotto/Biancaneve era ancora vivo. O se il Cacciatore lo avesse ucciso.
Ma in fondo temeva lui avesse una tresca.
Meno male che incontrò Cappuccetto Rosso che le diede indicazioni per tornare indietro e le spiegò anche come trovare la casetta nel bosco. Cappuccetto Rosso le confermò che uno strano personaggio che vestiva sempre abiti sgargianti e portava sempre un cerchietto in testa, abitava proprio li. Lo sapevano tutti perché cantava sempre a squarciagola.
Grimilde pensò, ecco ci siamo. Ho ritrovato Lancillotto/Biancaneve.
Poi tanto per essere gentile e fare un po’ di conversazione chiese a Cappuccetto Rosso “Ma tu Bimba cara che cosa fai in giro da sola. Dimmi, dov’è il tuo papà?”
E lei rispose “io abito con la nonna, il mio papà è un Cacciatore, lo vedo poco perché va in giro con gli amici nel bosco. Quater amis quater malnat vegnu su insemma compagn di ratt”
Oh brutto fellone infedele e doppiogiochista.
In realtà Marion Grimilde aveva già sentito parlare, di un cacciatore che aveva mollato una bambina alla nonna.
Le erano già venuti dei dubbi in passato, ma poi aveva sorvolato. Forse aveva preferito non sapere.
Spesso le donne sono proprio stupide.
Eppure glielo aveva detto sua madre: tienti Riccardo Cuor di Micione e lascia perdere il Cacciatore/Robin Hood che sarà anche figo, ma è un gran puttaniere. Ma lei no, a tutti i costi voleva inseguire il suo amore romantico.
Ed è cosi che ritornata a casa Marion/Grimilde potè riflettere meglio sul da farsi.
Ci pensò su. Serviva un piano d’azione. “Se devo fare trenta meglio fare trentuno” si disse.
E poi seguì il suo piano. Prese delle belle mele dal suo giardino e le avvelenò le pose in un cestino di paglia pronte per essere portate nel bosco. Erano proprio invitanti rosse lucenti, come il colore della vendetta.
Marion Grimilde era soddisfatta.
Se davvero Biancaneve/Lancillotto abitava nella casetta nel bosco e casualmente fosse morta mangiando una mela, Marion/Grimilde si sarebbe tolta un problema. L’arma del delitto era al di sopra di ogni sospetto e per di più biodegradabile. Se fosse saltato fuori il sospetto di omicidio….la colpa sarebbe ricaduta su quel donnaiolo di Cacciatore/Robin Hood, certamente lo avrebbero impiccato.
In fondo lei era sempre stata tenuta all’oscuro di tutto. Un piano perfetto.
Lei avrebbe pianto finte ma copiose lacrime se le avessero detto del suo primogenito scoperto e poi morto nel bosco. E se il Cacciatore/Robin Hood si fosse salvato o non fosse stato sospettato….bè, avrebbe pensato a cosa fare piu tardi. Bisognava procedere per gradi.
Marion/Grimilde si mise una mantella nera con cappuccio che oltre a nasconderla, come si sa, smagrisce, e tornò nel bosco. Questa volta per ritrovare la strada segui le briciole che aveva seminato lungo la strada la volta prima. Tanto sono deperibili e le tracce si sarebbero facilmente cancellate.
Arrivo finalmente alla casetta. Biancaneve/Lancillotto era solo.
Stendeva i panni, cantando a squarciagola, come sempre vestito con quella gonna gialla, da pugno in un occhio, fiocco blu in testa, guance rosa e tacchi a spillo. “Ciao Biancaneve, sono la mamma”
Biancaneve/Lancillotto ammutoli un attimo per la sorpresa, e smise fortunatamente di cantare.
“Mamma le disse, sono contenta di vederti, vieni a vedere la mia casa.
Si trattava di una villetta su un piano solo camera cucina salone dieci camere da letto, tre bagni.
E’ qui che mi ha portato papà. A vivere coi miei fratellini. Lui viene spesso qui con le sue amiche. Sono contenta che sei venuta a trovarmi anche tu”.
E a quel punto ammutoli anche la mamma.
Quali amiche? Quali fratellini? A Marion/Grimilde a momenti prende un coccolone.
Brutto fedifrago vigliacco e traditore.
“Peccato che non ci siano anche tuo padre e i tuoi fratelli, caro Lancillotto/Biancaneve, vi avrei fatto volentieri una bella festa a tutti quanti. Comunque comincia te a mangiare qualche bella mela” “Purtroppo ne ho portate poche ma vedrai che poi in qualche modo, vedrò di rimediare” disse lei con voce suadente porgendole il suo cestino “Mangia mangia, su, lo sai che la frutta fa bene”
E insistette cosi tanto che Biancaneve/Lancillotto quasi si strozzava a furia di mangiare mele.
Mastica e mastica …e come racconta la storia, a un certo punto…cadde di schianto.
E’ fatta. Grimilde/Marion riprese il proprio cestino e non vista, rientrò a casa. Delitto perfetto?
Purtroppo dopo un po’ si cominciò a spargere la voce di una fanciulla con la gonna gialla trovata addormentata nel bosco. Oh porca miseria, come sarebbe a dire addormentata?
Marion Grimilde si rese conto che Lancillotto/Biancaneve non era morta. “Sarà in coma” pensò.
“Adesso tutti sapranno. Oh che guaio. E se si sveglia e dice che è stata lei, la sua mamma, ad avvelenarla”?
A quei tempi ci mettevano un attimo a mettere al rogo una mamma.
Forse sarebbe stato meglio se avesse lasciato le cose come stavano.
E del Cacciatore/Robin Hood? Ah di lui nessuna traccia. Sparito.
Quasi certamente aveva mangiato la foglia.
Grimilde era sotto pressione. Bisognava assolutamente fare qualcosa.
Ormai era troppo rischioso esporsi ancora. Cappuccetto Rosso avrebbe potuto testimoniare di averla vista.
Pensa che ti pensa…..Marion/Grimilde decise di cercare un’altra strada, per il suo erede, più soft, che forse avrebbe salvato la situazione.
Scrisse allora a un amico che aveva avuto come primogenito un figlio maschio: Salvatore.
L’uomo era un padre disperato, perchè non riusciva ad accasare il figlio.
Non sembrava riscuotere molto successo tra le dame dell’epoca, nonostante fosse di nobile lignaggio.
Eppure Salvatore era abbastanza estroso e nel settore della moda era molto quotato.
Amava indossare dei mutandoni lunghi attillati, che forse nei secoli a venire, avrebbero chiamato leggings, tirati su fino alle ascelle, di color celeste baby. Fu a causa del suo abbigliamento che cominciarono a chiamarlo “Principe azzurro”.
Marion/Grimilde gli suggeri’ di raccontare al figlio Salvatore di tal Lancillotto/Biancaneve che dormiva nel bosco.
Ed è cosi che si arriva alla parte della storia che tutti conosciamo.
Salvatore magro pelato, con paio di rotoli di lardo in zona addominale, che tradivano l’età non proprio verdissima, fu preso dall’entusiasmo. Indossò la sua calzamaglia preferita super-aderente azzurro baby, la camicia con le maniche a sbuffo, e il mantellino celeste in tinta. Come accessori scelse scarpe nere, lucide coi tacchi e borsello portafrecce rosa giusto per staccare. Manco a carnevale. Sali sul suo cavallo bianco che solo a vederlo cambiò colore dalla vergogna, e parti al galoppo per andare a cercare la bella addormentata nel bosco.
Galoppa e galoppa. …sinceramente ci mise un po’ perché il navigatore non lo avevano ancora inventato e seguire l’Orsa nel bosco non era sempre agevole, ma comunque la trovò.
E quando finalmente vide questo piccolo grande amore, con quella sua maglietta fina tanto stretta che si immaginava tutto e quell’aria da bambina…. capì subito che Lancillotto/Biancaneve era la donna ops…l’ uomo della sua vita.
Veramente dopo tale lunga cavalcata era probabile che il Principe azzurro fosse alquanto sudaticcio e puzzasse di cavallo, ma su questo particolare la storia sorvola. Probabilmente a quei tempi una certa miscellanea di odori, era ritenuta una cosa normale.
Il Principe scese da cavallo, sollevò Biancaneve tra le braccia e le diede una gran botta sulla schiena e Biancaneve/Lancillotto con un colpo di tosse, vomitò la mela. Spettacolo rivoltante ma che sortì il suo effetto..
Miracolo. Biancaneve/Lancillotto si svegliò, aprì gli occhi e vide il suo Salvatore/Principe Azzurro.
Anche lei aveva capito che erano fatti l’uno per l’altra. Un colpo di fulmine.
In accordo con le rispettive famiglie decisero di restare a vivere nel bosco.
Avevano già una casa pronta e arredata (e soprattutto lontana dai rispettivi Castelli), perché rinunciare?
E gli orfani? Ma si cercassero un’altra sistemazione, sti bamboccioni.
Avevano ricevuto lo sfratto.
Tanto si sa che i nobili sono sempre stati prepotenti.
Dei poveri orfanelli infatti la storia non parla. Come fossero scomparsi nel nulla.
I giornali d’epoca in realtà, a un certo punto parlarono di un incidente in miniera, ma le indagini vennero insabbiate. Gli orfani non fanno storia, i re e le regine si.
Anche del Cacciatore/Robin Hood non si seppe più niente.
Qualcuno disse che fosse morto nel bosco durante un incidente di caccia.
Qualcun altro disse che morì dopo aver mangiato frutta avariata, trovata casualmente in un cestino.
Non si sa. La storia anche di lui non parla.
In fondo era proprio un gran rompiballe e nessuno sentì la sua mancanza.
Grimilde/Marion, sicura ormai di aver risolto tutti i suoi problemi, rinunciò alle sue idee omicide nei confronti di Lancillotto/Biancaneve e ricominciò a fare gli occhi dolci a Riccardo Cuor di Micione che non vedeva l’ora di impalmare la sua bella sperando di diventare finalmente il re del reame. In realtà era un po’ cagionevole di salute ma il medico gli disse che era sufficiente star lontano dalle mele rosse.
E da allora tutti (i sopravvissuti) vissero felici e contenti.
Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra che ho detto la mia.
LETIZIA CELLA
Un Re maleducato
C’era una volta un re molto maleducato.
I suoi sudditi diventavano rossi di vergogna quando lo vedevano scendere a saltoni lo scalone d’onore, con la corona tutta storta ed ammaccata che cadeva e rimbalzava dappertutto! Sul trono stava sempre accovacciato con le gambe ripiegate sotto il sedere, non stava mai attento e guardava le mosche. Anzi! A volte ne prendeva qualcuna al volo e…… se la mangiava!
Nel regno tutti erano in attesa delle sue nozze: aspettavano una bella festa come si deve, con banchetti, balli e tornei, la promessa sposa era sempre pronta tutta in ghingheri… ma lui niente! Appena sentiva la parola “matrimonio” si metteva a sputare! Aveva addirittura trasformato il salone delle feste in una piscina e stava quasi sempre lì a mollo.
Un giorno mentre solo soletto faceva il bagno, dopo una lunga nuotata sott’acqua tirò su la testa per respirare e si vide davanti la promessa sposa. Stava impalata sul bordo della piscina con le sue gonne sottogonne e lo strascico, con i capelli tutti intrecciati di perle di fiori e di fiocchi e appena lo vide cominciò ad urlare:
– Adesso basta! Adesso mi devi sposare!-
Il re si rituffò terrorizzato, ma ogni volta che tirava su la testa per prender fiato si ritrovava davanti quella furiosa in attesa di una risposta.
Alla fine sentenziò:
Non ti sposerò mai e poi mai!
Poi il re tornò sott’acqua e si mise a nuotare come un disperato per dimenticare il momento più orribile della sua vita quando questa pazza, che adesso voleva essere sposata, era comparsa all’improvviso davanti a lui, l’aveva afferrato con la sua manaccia e gli aveva schioccato sul muso l’orribile bacio della sua rovina. Poi rimise fuori la testa e le domandò:
Ma come ti è venuto in mente di baciare un povero ranocchio e ridurlo così?
Era una favola che mi raccontava la mia nonna e io ci ho provato…
-E che gusto ci provavi a trasformare ranocchi in principi?
La favola diceva che poi il principe mi avrebbe sposato e che … appunto, saremmo sempre vissuti felici e contenti!
Contenti? Felici? In questo regno? Ma io ero contento
nel mio stagno!
Allora la principessa gli spiegò:
Quando uno ha un regno praticamente ha tutto quello che vuole, può fare tutto quello che vuole e per forza diventa felice!
Il re non era affatto convinto, ma gli venne un’idea:
Se credi di diventare felice con questo regno –
sentenziò – te lo lascio, ma tu devi trovare il modo di farmi tornare ranocchio.
A questa proposta la ragazza rimase senza parole, ma era un tipo che non si perdeva d’animo. Di colpo si strappò la parrucca e tutte le gonne e si tuffò nelle piscina in mutande. “Forse l’incantesimo funziona anche al contrario!” pensava!
Il re non fece in tempo a muovere un muscolo che lei gli fu addosso gli afferrò la testa e gli stampò un altro bacione sulla bocca.
Ma l’incantesimo al contrario non funzionava!
Riavutosi dallo stupore, furioso, la spinse sott’acqua, ma lei, che era una piccoletta molto agile e sportiva, gli sfuggì e d’un balzo gli fu sulle spalle con tutto il suo peso: cominciarono così una gran battaglia un po’ sotto un po’ sopra con molti spruzzi, molte bevute e molte… risate. Proprio risate! Perché a tutte e due piaceva molto giocare nell’acqua.
Alla fine senza fiato ma allegri, perché da molto tempo non si erano divertiti così tanto, mentre facevano uno spuntino ristoratore: lui mosche e zanzare, lei pane e salame, decisero di partire insieme alla ricerca della magica pozione che trasforma gli umani in ranocchi: tutti e due avevano buonissime ragioni per trovarla. Camminarono, camminarono, camminarono, per mari, per monti e per valli e intanto che andavano diventarono amici: avevano moltissime cose da raccontarsi. Il re le insegnava canzoni di vento di foglie di onde e le raccontava storie di alghe e di pesci, lei filastrocche, ninnananne e favole di principi di lupi, di nani… poi quando vedevano una pozza d’acqua si tuffavano insieme e si divertivano un mondo.
Cammina cammina cammina tra molte avventure un po’ belle e un po’ brutte arrivarono in un meraviglioso bosco incantato ed incontrarono una vecchissima fata che, tra tutte le sue antiche pozioni, aveva anche quella che tramuta gli umani in ranocchi.
Tutti e due saltarono e ballarono di gioia: la loro ricerca finalmente era finita!
Fecero insieme un ultimo lunghissimo bagno poi si abbracciarono, il re, come ultima cosa le chiese di fare subito una legge che vietava di mangiare rane, poi bevve un sorso. Ed ecco che di colpo divenne verde, piccolo piccolo, tutto rugoso ed un po’ schifoso e d’un balzo fu nello stagno.
Lei adesso finalmente era una vera regina!
Si sedette a pensare a tutte le cose meravigliose che sarebbero state sue, a tutte le cose stupende che adesso avrebbe potuto fare… Ma non le veniva in mente niente di divertente e di bello senza il suo amico re.
Era una ragazza spiccia: pensò che in fondo i ranocchi non sono poi così brutti per le ranocchie… bevve l’ultimo goccio di pozione magica e saltò nello stagno anche lei.
AUGUSTA FONI
L’incontro di Lucia con la Signora di Monza
Usciti dalla stanza Agnese e il frate cappuccino che l’aveva accompagnata con la figlia, la Signora assunse un tono più deciso e incominciò a chiedere insistentemente a Lucia in che cosa consistessero le molestie di don Rodrigo. Lucia, sorpresa che una monaca si interessasse tanto a quei gesti e a quelle parole, arrossì in silenzio.
Rimase ancor più sorpresa nel vedere che nella foga delle parole i capelli della Signora incominciavano a scivolare fuori dal velo. Lucia non credeva ai suoi occhi, le avevano sempre detto che le monache avevano la testa rasata. Incominciò fissare quei capelli lucidi e ondulati. La Signora le si avvicinò con un guizzo, lasciando scivolare il velo a terra. Aveva una lunga capigliatura castana con sfumature ramate, ornata da tanti piccoli nastri di seta. Un profumo di alloro riempì tutta la stanza. Le converse che erano rimaste al suo fianco puntarono gli occhi su Lucia e sorrisero tra loro, mentre da una finestrina, in fondo alla stanza, comparvero le facce attente di altre converse. Lucia cercò sul loro viso qualche segno di solidarietà, un aiuto nel disorientamento che la atterriva, ma incontrò solo sguardi impassibili.
La Signora si avvicinò ancora di più. “Non speventarti, su. Ti piacciono? Anche tu puoi avere capelli così. I tuoi adesso sono come la stoppa, pieni di groppi, ma puoi averli lunghi e lisci. Ti starebbe bene anche con un po’ di tinta di zafferano sulle guance. Sei di bassa statura, ma hai delle belle braccia. Non ti piacerebbe un bel vestito di seta morbida con i merletti? E una fascia stretta in vita come la mia? E poi i panni damascati, i velluti…sono più belli dei panni di canapa. Il mondo fuori di queste mura è pieno di pericoli, soprattutto per le donne giovani e poi la vita è grama per tutti. Ma qui siamo tra di noi, possiamo stare comode. In fondo siamo tutte sorelle. Nella nostra religione ci sono tante penitenze, ma è pur vero che i nostri corpi e i nostri capelli sono opera delle mani di Dio, come tutta la bellezza del creato. Nella sua immensa saggezza e generosità il padre confessore lo sa bene e perdona tante cose, ci rinforza nella fede e ci conforta con grande sollecitudine. Godiamo dei favori di tante sue conoscenze, nobiluomini di rango che vengono al convento per le loro devozioni da tutta Monza e persino dal circondario di Brugherio. Sono tutti molto generosi e indulgenti con i nostri capricci piccoli e grandi. Noi prepariamo per loro tanti dolcetti con le mandorle e l’acqua di arancio e mangiamo insieme, ridiamo insieme con la musica che sembra suonata dagli angeli.”
“Abbiate pietà di me, grande Signora, sento tante parole e mi confondo.” Lucia cercò qualche appiglio per tirarsi fuori dal discorso e uscire dalla stanza. Riuscì a dire solo qualche parola “Mia madre è qui al convento e poi sono promessa a un bravo giovane….” La Signora schiumò di rabbia “I genitori…lasciateli perdere…e il vostro contadinotto…non vi offrirà mai delle pantofole ricamate! Andate di là, c’è uno stanzino con un pagliericcio dove passerete la notte. Il freddo e il digiuno vi faranno da buoni consiglieri.”
Come ubbidendo a un ordine tacito, una giovane conversa la prese per il braccio e la accompagnò fino allo stanzino, asciugandole le lacrime che le scorrevano sulle guance e promettendo una visita al calare della notte. Ritornò infatti, in punta di piedi per non farsi sentire e senza parole, ma con una ciotolina di dolcetti. Moriva di fame Lucia e la vide come un angelo che porta l’eucarestia. Afferrò i dolci, ma li mangiò lentamente, per assaporarli meglio. Qualcuno c’era che la aiutava in quel posto, forse non erano tutte cattive e corrotte dal lusso e dai piaceri. Si mangiavano anche cose sopraffine in quel posto, c’era la musica, le luci e dei gentiluomini sorridenti. Lucia incominciò a pensare che forse qualche tempo poteva fermarsi.
ROSSELLA GIANNOTTI
Penelope
Un ultimo suo sguardo al nodoso talamo ella diede
E chiamò a sé la fida Euriclea, che pronta
Le porse il manto a cingere le spalle.
E Penelope avviò verso il mare i decisi passi.
Ancora bella e forte la donna si sentiva, d’aspetto fiero
Dal radioso sorriso e dallo sguardo altero
In mezzo al sole si allontanò sicura da quella reggia:
troppo aveva atteso, troppo sofferto,il tempo,ahimè trascorso
adesso le parea la vita intera.
Il suo sposo non era più tornato. E troppe astuzie le erano occorse a vincere
I Proci che tentavano al trono e al suo bel volto di regina.
Falso era il vento che le sussurrava
“Attendi ancora, tornerà l’amore; Ulisse rivedrai se pazienza avrai”
Aveva pazientato troppi anni , avea sperato non fossero inganni
Ma quelle voci non diceano il vero:
Ulisse non tornava! Adesso basta!
Con pochi suoi fedeli servitori
E l’ancella fida che, ben che vecchia, la volea seguire,
approntato aveva un legno sul mare, le vele attendendo
solo il suo arrivo. Il figlio, rigato il volto di lacrime sofferte,
l’abbracciò stretta come da fanciullo quando da lei chiedeva un bacio.
Si fece forza la donna e, rompendo quel vincolo d’affetto,
serbando in cuore il materno dolore
giunse alla spiaggia e pose il piede sulla lucida barca.
Partì Penelope senza mai voltarsi
e le vele col favore di un Eolo generoso
si gonfiarono presto ed il naviglio
si allontanò dall’Itacense sponda.
Per giorni e notti spirò lieve la brezza
e il mare amico fu di quel coraggio.
Gli dei propizi aveano aperto i cieli
a un sole mite che della donna l’animo rincuorava
e dei suoi che ai remi erano curvi.
A Penelope il tempo sembrò breve e presto
(ma eran corsi giorni) avvistaron sull’onde in lontananza
La scura terra ancora sconosciuta.
Ma seguendo i consigli dei saggi marinai che avea prescelto
e vedendosi al cielo alzarsi un nero fumo che pareva
gettar da un monte e fuoco e sassi e morte
preser consiglio di tentar la sorte più avanti, ancora in mare
e i marinai ripresero a remare
ma verso il nord, come dicon le stelle
e con gli dei sempre benigni al fianco
attraverso uno stretto lembo di mare si ritrovar
nell’azzurre acque più aperte, ma sempre costeggiando
le spiagge italiche fino ad un ampio golfo
costellato di isole sì belle da parer stelle in mare
e in fronte a quelle, sulla riva sabbiosa e profumata
fermar la barca e scesero i giovani e posero
un drappo rosso per non far bagnare il regal piede
di Penelope bella. E in quel momento la donna
s’incamminò per quella spiaggia fine
e ringraziò per la benigna sorte gli dei
che avean loro evitata la morte in mare. La regina, libera dal suo re
sentivasi in cor suo nascer la voglia
di tentar nuove sorti sulla terra
che amica ospitata l’avrebbe; e con i suoi
s’incamminò verso l’ombrosa selva
di pini profumati e d’agave succose
e presto intorno a lei si fece folla
di giovani acclamanti e di fanciulle
che ghirlande le poser sulle spalle e serti di fiori tra i capelli
la sua regalità riconosciuta dal portamento e dalle vesti
in oro trapuntate e fu Penelope acclamata
regina di quel mondo così bello
che si nomea Pausilypon, e d’Itaca ormai soltanto
un ricordo d’attesa e di sconforto più non fu altro.
Il ricordo di un uomo che la sua vita avea portato altrove
dimenticando la sua sposa e la casa e il figlio e l’amore.
Tesseranno per Penelope gli dei una vita felice di affettuose cure
di quanti a lei si rivolgeano, grati, per consigli
o parole di saggezza. E da quel giorno non fu più tristezza.
E un dì alle itacensi spiagge tornò il suo re,
lo vide il fedel cane Argo,e di gioia
andò a morir felice ormai, ai suoi piedi;
anche Telemaco il padre riconobbe e l’abbracciò piangendo
ma un velo di tristezza avea negli occhi:
e Ulisse entrò nella stanza nuziale,
vide quel letto agognato e bello, di lucide radici decorato:
e sognò, solo, un amoroso amplesso.
MARIA LUISA PARAZZINI
Sirenetta. La vendetta
Simulazione di una lezione tenutasi alle educatrici dell’asilo di Via dei Platani
Oggi incontreremo un personaggio femminile che avrete conosciuto tra libri e cartoni animati , la Sirenetta. Citerò tra virgolette qualche edificante frase dalla versione originale di Andersen, che troverete credo piuttosto inquietante.
Vi inviterò a vedere la Sirenetta come una ragazza originale, diversa dalla media, con attributi simbolici, coda voce occhi e un carattere romantico, un’eroina in cui immedesimarsi.
Come tale vorremmo fosse felice, come tale potremmo presentarla alle ragazzine, come un soggetto non omologato, una diversa da comprendere e da cui prendere utili spunti.
Dopo una prima parte che ci introduce nel suo doppio mondo, nel suo innamoramento e nelle sue prime timide e poco assertive scelte, che culminano nel salvataggio dell’amato principe e nell’immediata di lei fuga tra alghe e scogli per non mostrare la sua stupenda coda, vi condurrei a seguirla nella parte focale della storia.
La parte in cui lei agisce e si sacrifica. Fino al ..colpo di coda …. finale. Perché ciò possa avvenire proverei a rivolgermi direttamente a lei.
Cara Sirenetta, la tua “coda di pesce” ti potrebbe salvare a meno che il desiderio inappagato di lui che solca i mari , ti colmi di disperazione. Con la tua coda lo seguirai mentre cerca l’anima gemella e non l’avrà in te riconosciuta perché tu stessa ti sarai nascosta sotto le alghe il primo giorno che vi siete incontrati, e ti dispererai , sentimento spesso prodotto dagli amori, la disperazione, fungendo pur da sprone a crescere, effetto spesso prodotto dagli amori .
Ciò ti spingerà ad uscire dal tuo giardino dove stavi abbracciata alla sua statua o alla sua foto e per raggiungerlo, lui e quella sua anima immortale, nella ricerca di elevare la tua al suo livello, farai carte false per prendere appuntamento da una strega che ti proporrà il patto per diventare una vera ragazza, umana come lui.
Se vorrai perdere la tua originalità di Sirena, cioè se vorrai avvicinarlo e conquistarlo, ecco la soluzione della strega: via le tue pinne fatte per solcare i mari, via le stupende tue squame di zaffiro lucente. Potrai allora caracollare su un bel paio di gambe soffrendo “come se una spada affilata ti trapassasse”, traballando su storpianti calzature che oggi avrebbero dei tacchi vertiginosi.
Grazie a questo patto masochistico potresti finalmente “conquisterai l’amore del principe, cosicchè lui dimentichi per te sua madre e suo padre,dipenda da te per ogni suo pensiero e chieda al prete di congiungere le vostre mani rendendovi marito e moglie”, così indica Andersen
C’è inoltre a portata di mano la possibilità di farsi ancora più male, cara Sirena innamorata, e per saldare il debito con la strega che ti ha svelato il segreto dall’autodistruzione, per permetterle di completare l’incantesimo e provare a a fornirti un anima immortale dovrai accedere alla modalità “esclusione audio”, il funzionale consiglio sempre valido per meglio adattarsi ad una società dove le donne …. non contano.
Infatti se pensavi di mantenere qualcosa che ti distinguesse da tante altre, che poteva fa capire che eri tu e chi eri tu, devi invece rinunciare proprio alla tua voce, alla tua bella voce, quella con cui credevi di “poterlo sedurre”, quella con cui ti consolavi, niente da fare, tagliarti la lingua e lasciarti muta permetterà di far funzionare il filtro magico, che trafigge e guida le tue belle gambe.
E se ti verrà il dubbio che niente poi ti resti di tuo, verrai rassicurata perché è a quel punto che sarai accolta invece nel mondo delle donne che tutto hanno capito: “ti resterà la tua splendida persona, la tua armoniosa andatura e i tuoi occhi espressivi, con questo riuscirai a conquistare certo il cuore di un uomo”. Non usando la voce eviterai infatti di procurare inutile disturbo e sollecitazioni. Non per niente lui arriverà a dirti ““Se mai dovessi scegliere una sposa , allora prenderei te, mia trovatella muta con gli occhi parlanti”
E poichè la strega era ben consapevole dell’assurdità del patto a cui queste giovani perse nell’amore vanno incontro, il contratto aveva anche la clausola beffa:, se dopo tutto quel popò di sacrificio lui si innamorava di un’altra, se lui se la sposava, tu, senza più voce ne pinne , all’alba del primo giorno dopo le loro nozze avresti avuto, indovina un po’, il cuore spezzato e saresti stata felicemente trasformata in nuvole e vento .
Dopo questa serie di colpi di genio infilati uno dietro l’altro viene proprio voglia di cambiare la storia.
Neanche il tempo di eliminarlo, con un delitto di gelosia, come le avevano consigliato le sorelle, le viene lasciato .
Cambiare il finale qui bisogna cambiare il finale…
Ecco così vedrei la Sirenetta, mentre lui nella favola le propone di reggere lo strascico della novella sposa, la vedrei stringere a fessura quei suoi begli occhioni parlanti, avvicinarsi all’orecchio sinistro delprincipe, lasciargli un sospiro profondo che solo lui senta, dargli una veloce leccatina dietro un orecchio che tutti presero per un fraterno bacio e correre via ,mentre lui non ricorda più chi ha davvero sposato.
La vedrei correre dalla strega, come un fulmine impazzito, e con una mimica accesa e precisa riconoscere davanti alla sua aguzzina di essere stata un’emerita oca, e gridare che mai più l’avrebbe fatto di vendere pinne e voce, per dei cretini simili.
La strega, che teneva anche lei nella sua grotta la statua di un altro cretino da lei amato disperatamente in gioventù, per solidarietà le renderà la voce, roca e sensuale, poi le toglierà tutte quelle trafitture di spada consigliandole di abbassare anche di poco i tacchi e le consegna una boccetta dai colori magici. Estratto di Damiana, per rinvigorire i sensi. Che la Sirenetta spruzza ogni giorno sulle spalle del principe, mentre lei gira felice per il palazzo, danzando, dipingendo, cantando, suonando clavicembali, mentre la sposa regina si trascina tra cerimonie e precettori, e la notte tarda, la Sirenetta sa che lui arriverà, nella sua stanza.
Il mattino dopo lei potrà rigirarsi felice nel letto di nuovo vuoto, fino alla prossima notte, mentre il principe tornerà al suo ruolo e misurerà lunghe occhiaie, davanti allo sbattere inutile e forsennato degli occhi della sua vera(?) sposa.
E vissero tutti, chi più chi meno, felici e contenti
PATRIZIA PULEIO
Giulietta senza Romeo.
Adesso, che la giovinezza se n’è andata, che son passati tutti questi anni, adesso che nella vita ho tanto sofferto, so che esistono dolori tanto più crudeli e reali dei mali d’amore.
Penso ad esempio a quanto ho pianto quando è morto mio padre, mancato in un lampo per un incidente di caccia, e a quanto ho pianto per mia madre, nei mesi eterni della sofferenza e della malattia, e penso al pianto di dolore durante il parto dei nostri figli, quando credevo e anzi imploravo di morire, e anche a come ho pianto di gioia subito dopo, vedendoli, perché questo è il miracolo della vita…eppure dopo tutto questo tempo, Romeo, se ripenso a quei momenti lontani, il cuore torna a battermi in un modo diverso, nel modo unico ed immutabile che è quello del male d’amore…
E ancora adesso, se io per un miracolo fossi lì, in quel momento fatale, vicino a te, Romeo, più bianco del bianco marmo su cui giacevi immobile, io ancora non esiterei a gettarmi sul tuo pugnale, per raggiungerti, perché così inutile e assurdo mi sembrava in quel momento sopravvivere, sopravviverti, vivere sulla faccia della terra da sola, perché era così che mi sentivo senza di te: sola, anche se in compagnia dei miei genitori, dell’adorata nutrice, degli amici, del mondo intero.
Ché, anzi, insopportabile mi era la vista di tutte quelle persone che non capivano, non avevano capito quanto indispensabile eri, tu, alla mia stessa esistenza.
Sola, ero sola, e l’unico scopo degli ultimi istanti della mia vita inutile era quello di raggiungerti, ovunque tu fossi, anche all’inferno.
E certo all’inferno sarei finita, se non fossi stata così maldestra da mancare il mio cuore, e toccarlo solo di striscio, ché forse la mano mi tremava, nel vederti lì a terra, vicino eppure già lontanissimo…troppo forte il dolore, e la mano non abbastanza ferma.
E tu pure, ora, saresti a penare per l’eternità negli inferi, se non fosse che frate Lorenzo arrivò in tempo, il veleno infatti non aveva ancora raggiunto il tuo cuore, e ti versò tra le labbra, in gola, giù fino in fondo, la fiala di antidoto che aveva con sé.
Ti salvasti, mi salvarono.
La ferita, curata da mani amorevoli, guarì. Il saperti vivo mi fece vivere.
E tutti, tutti, davanti all’immensità di quanto avevamo fatto, si spaventarono, e videro quello che con le loro ostinate convinzioni avevano ottenuto. Si spaventarono, e ci concessero di vivere il nostro amore.
Ci condannarono alla felicità di una vita normale.
Siamo stati felici, infatti. Felici come tutti.
Siamo stati moglie e marito, madre e padre. Abbiamo messo al mondo dei figli, li abbiamo cresciuti, li abbiamo, per quanto possibile, aiutati ad andarsene verso una loro vita. Abbiamo seppellito i nostri genitori, e anche qualche amico. Io sono invecchiata, tu sei invecchiato.
Non hai più il bel profilo che seguivo accarezzandolo con il dito, non sento più dalla tua bocca parole piene d’amore. Né sento i tuoi baci, i tuoi sospiri. So che li regali ad altre donne, più giovani e belle di me, insieme a monili e pietre preziose. Mi fa soffrire, ma non posso farci nulla, so che è così che vanno le cose, mi vergogno soltanto, l’’ultima poi è più giovane di nostra figlia…
A me non manca nulla, né denari né belle vesti, feste a corte, musiche, tornei, e una gran considerazione in città. Solo mi mancano le parole, i discorsi appassionati al chiaro di luna, il tenersi le mani e appartenersi nell’anima…
Siamo per tutti una coppia da ammirare, l’emblema stesso dell’amore che trionfa, insomma, siamo Giulietta e Romeo, che hanno provato a vivere insieme almeno nella morte e sono stati ricompensati ottenendo di vivere insieme nella vita.
Ma in tutta questa storia, dov’è finito l’Amore?
Perché, se ripenso all’Amore con la A maiuscola, mi ritrovo ancora lì, in quella stanza gelida, col pugnale tra le mani e tu disteso sul pavimento, tu che avevi scelto di morire, piuttosto che vivere senza di me?
Mi ritrovo lì, e l’unica cosa che so di certo è che, adesso, la mia mano sarebbe più salda, che non sbaglierei la mira, no. Mi dico, tra le lacrime, che sarebbe stato meraviglioso non essermi svegliata, ed essere morta davvero, col tuo nome sulle labbra, il nome di colui che amavo, di colui che mi amava.
Solo così tu mi avresti amato, ed io ti avrei amato per sempre, solo così quella bellissima illusione sarebbe durata fino ad oggi e per tutta l’eternità.
Per sempre.