QUADERNO N. 1  IL GLICINE

con intermezzi pittorici di Marina Mariani

 

Maggio 2021
Il glicine, con i suoi rami che sanno sempre arrampicarsi o come traboccare dai muri,sovrasta il pergolato nel giardino della Stanza della Poesia.
Dal punto di vista astrologico, questa pianta è in sintonia con le influenze di Giove quando si radica e si adatta saldamente ad ogni tipo di terreno.
Nel Buddismo Shin rappresenta la caducità della vita e la continua trasformazione per ricordarci di apprezzare ogni evento sia esso positivo o negativo.
Nel linguaggio dei fiori gli viene attribuito il significato di amicizia e di riconoscenza.
Nel corso delle riunioni, basta volgere l’occhio alla finestra e, con il mutare delle stagioni il tripudio di fiori e di foglie, con i relativi colori e profumi si riversano in abbondante generosità sui nostri sguardi in cerca di ispirazioni.
Chissà, se ora si è accorto della nostra assenza, ora che il vociare non raggiunge più le sue fronde, ed è cessato il continuo via vaidal cortile alla sala? Chissà…

…e intanto era aprile,
e il glicine era qui, a rifiorire.
Il glicine
di Pier Paolo Pasolini

Giulia Grigoletto

La poesia mi è stata sempre compagna, una compagna discreta e incisiva, che non si rende sempre manifesta, come stesse in qualche spazio assopita, talvolta per breve tempo, talaltra per molto.
Poi, quando meno me l’aspetto, sento il suo respiro destarsi.
La sento arrivare come un movimento felpato di gatto che avanza, che si prende spazio, che vuole essere accolta per quello che porta.
E quello che porta è “acqua di sorgente impasto di pane una parola da coltivare come seme”
Quando lei si desta non mi posso sottrarre all’ascolto, diventa un’urgenza, un male sottile il non darle retta, l’accoglierla mi svela.
Partecipare alla Stanza della Poesia ha significato in soprattuttoallenare questa accoglienza.
Il lavoro di studio dei vari poeti e di lettura o rilettura dei testi, mi ha permesso di nutrirmi al loro commensale, e talvolta disperimentarmi nella scrittura poetica attraverso il loro stile, come una eco generata dalle viscere della comprensione.
Mettere in comune i propri lavori esponendoli al gruppo haconsolidato una norma fondamentale: l’assenza di giudizio e l’accesso ad una critica propositiva, che per me ha significato potermi affidare.

Una scala di luce si dona
all’oscurità del pozzo
corpi di donne e figlie
Una scala di luce
lava e lenisce le ferite, balsamo
al cuore che non sente il perdono
Una scala di luce
nel passo che volta la terra
sicura e radicata forza
eleva al cielo i talenti
ambisce tenacia d’azione
Una scala di luce
in ogni grembo di femmina
piccola o grande che tu sia
tendi all’orecchio del cuore
universale è la sua bussola.

 

Maria Luisa Parazzini

Alla luce di questo stare isolati, dove tutto risalta in modo eccessivo, nel frequentare praticamente solo me, penso a volte che la poesia sia la giusta voce, quella che dice di più, quella che fa sentire meno soli, o meno muti.
Linguaggio tridimensionale, conserva tutti i significati di ciò che attraverso o mi si para davanti. Me ne convinco ogni giorno, come se fosse inevitabile. Una lente in più, per chi sa che poco si riesce a vedere. Ossigeno in più per
creare significato dentro di me quando perso o sprofondato o diradato nel ricordo. Nel tempo che passa e in questo ritirarsi, il gruppo di poesia di Apriti, la Stanza della Poesia, con le sue scadenze e correzioni, è prima di tutto un luogo fisico, anche davanti ad un PC, dove mi costringo a tornare per dare una forma al parlare nella mia lingua, dove verifico attraverso l’ascolto degli altri che questa mia lingua non sia comprensibile solo da me.
Grazie al luogo Apriti Cielo con la sua energia e il suo spirito accogliente, con il suo indimenticabile glicine, ho potuto incontrare il mondo appena fuori, e nell’oltre appena fuori, non dimenticherò mai gli inizi d’autunno con
la sala piena di persone, ognuna a leggere una poesia, poeti ed altri apparentemente non poeti.  Apriti Cielo è quindi un luogo fisico e mentaledove far agire la Stanza della Poesia, come in una scuola direi orizzontale, dove la poesia è di tutti e non alta, sudata sullo scranno della torre d’avorio,
Tutto questo può avvenire grazie al metodo senza gerarchie con cui noi si lavora: uscire dal tabù del giudizio, del premio e del mito del più o meno bravo” (in che?), come in un’officina in cui gli strumenti sono di tutti.
Quanto si sia davvero non più giovani, poco anche dentro, non si vuol sapere.
Le mie radici, lontane. Persa anche la prima poesia, fotografata nella mentem come indimenticabile con la lode della maestra, e della quale ricordo perfettamente il quaderno di cinz verde su cui andava ricopiata.
Non basta più a salvarmi. Anche in questa nuova era deve esserci una prima poesia. Di nuovo prima. Con nuovi capelli e memoria di nuovi malanni. Il glicine mi curerà. E magari non avrò ancora parole. Il glicine, bene mi vorrà? Periodo di transizioni…

L’estinzione dell’inverno
fa d’essermi persa
seduta sul cuore come granito cupo.
E’ allora che si perde orientamento:
dove le spalle, dove lo spazio per condurre
Il passo, dove la casa, dove il prima,
se il tempo sta seduto sulla nuca
nel punto dove iniziano i capelli
Attorno resta un sogno di fiocchi
che confonde spigoli
la linea cupa dei portoni
le pieghe pesanti nelle stanze.

Ora è tornato.
La larva ci ha spallato al muro
e i fiocchi farfalla si tessono tra loro,
sull’erba scivola avanti l’ombra di frontiera.
Ho paura delle nuove stagioni,
non capiranno, smemorate, il sacrificio.

 

Marina Mariani

Percorrere passi e lasciare sospeso il tempo.
Quasi un mese fa, ormai, mi è stata rivolta questa domanda:“Come si fa a scrivere poesia?” E ancora prima che potessi ricevere, assimilare la domanda la mia amica la riformulò in: “ Che cosa è una poesia e come si scrive?”
La prima risposta silenziosa che si è affacciata alle labbra è stata: “Non lo so” seguita da una esplicita enunciazione vocale: “Un pensiero con parole che vanno spesso a capo”. La faccia dubbiosa della mia amica diceva che era poco, troppo poco per distinguere un testo poetico da un qualsiasi scritto narrativo.
Poesia è ritmo, è poter assaporare a pieno una parola, un verbo.
Scoprire la potenzialità di un sinonimo e sentire che le parole hanno sapore. Ho scritto poesie brevi dai tredici anni ai sedici, con furore, con rabbia per cercare di dare un nome allo sradicamento che stavo vivendo poi l’attività politica mi ha completamente assorbito e lo spleen poetico è scivolato via dalle mie mani.
Ho afferrato, artigliato altri mezzi espressivi. Manifestavo per le vie di Milano con in tasca le poesie di Pablo Neruda e Jorge Amado e Marina Cvetaeva. Gustavo il loro sapore di crudo metallo quelle scritture suscitavano straniamento e curiosità.
La personale poetica è una poetica da una frase un rigo appena nella scansione degli Haiku cinque- sette- cinque che mi restituisce la magia della metrica di Catullo.
La Stanza della Poesia è un esperire ritmi di parole, tempo, tempi con la forza, l’energia che deriva dalla pluralità e dalle soggettività presenti. Il gruppo con i suoi umori, i suoi arresti e le repentine riprese mi è kora, conchiglia che restituisce la preziosità delle parole, del nome, del verbo che acquista senso all’interno di una rete relazionale che con la fatica del vivere quotidianoalimenta in me la possibilità di una scrittura, che non deve essere per forza pubblica ma compagna del mio sentire.

Kurò/Nero
Impalpabile come fuliggine
acconci notte il manto tuo,
né lacrime, né stelle
a rischiarare l’antica paura
solo un gemito,
come pulsare di sangue,
a contrastare il volto nero della luna.

 

Marina Prandelli

Si scrive per necessità, o forse per inclinazione, disposizione.
A volte si finge e non ci si allontana. La trama, le tracce, le nuvole e i giorni di passaggio, la luce ostinata, il tempo che muore: la dotazione sempre insufficiente e il mistero si infittisce – in fondo si entra nel bosco per perdersi.
Apriti Cielo: il glicine che si adagia nello sguardo e ti lega alle radici.

 

Nelle larghe pieghe costringono
le ore, vestite di blu, opache …
per selve aspre
Costellazioni fisse, gli occhi bucati
L’inverno ritorna a soffiare, un deserto
di volti il futuro …
e la pianura che vasta muove,
dietro le dune il mare …
e continuo a parlarti.

Di passaggio in passaggio, si consuma
opaco si connette all’opera.
Questo lunedì – una barca capovolta.
La terra battuta, l’asfalto da drenare
lungo i binari – in attesa …
una barca capovolta
La solitudine dei corpi
che affiora …
… candida la luce sgranava
le vetrate, il pulviscolo fomentava
l’assillo, distoglieva
i passi, l’innocenza
… e continuo a parlarti

 

Serafina Tarantini

Scrivere poesie per me, è stato naturale come un respiro, bere unsorso d’acqua alla fontana.
All’inizio é stata una rivelazione, un’esperienza intima, poi ho cominciato a far conoscere i testi alla cerchia delle mie amicizie e in seguito a una sfera più pubblica, ma di sconosciuti ( caseeditrici, concorsi, riviste ).
Ho superato parzialmente la mia naturale ritrosia e ad espormi al giudizio dell’altro, partecipando a laboratori di poesia o di scrittura, fino ad approdare, da alcuni anni, al laboratorio di poesia dell’associazione Apriti Cielo.
In questa sede leggiamo i nostri testi, scevri di ogni critica, ci confrontiamo con le altre partecipanti ( di genere femminile, per scelta condivisa ) e questa pratica di lavoro é oltremodo arricchente e stimolante.
Periodicamente, come gruppo organizziamo delle letture pubbliche delle nostre poesie, ad appassionati o estimatori. Nel nostro percorso abbiamo anche letto e studiato alcuni poeti, invitandoli e organizzando con loro incontri e reading, confrontandoci con loro.
Personalmente, ritengo che disperdere questo piccolo e importante patrimonio di esperienza e collaborazione del gruppo di poesia, sarebbe un inutile dispendio culturale.

 

Metamorfosi (cattive ragazze )
Ti é spuntata
la cresta sul capo
ti sei rivestita di piume fucsia
e ti sei dipinta
il becco di rosso
e il cuore di nero
Lassù un galletto
di ferro
gira a vuoto
nel vento

 

Prima dell’autunno
riflesse una nell’altra
ci sfioriamo con gli occhi
e con le mani
aggrappate a questo livido cielo
scintillante
di fuochi colorati
lontana
é quell’estate

 

Zina Borgini

Con la poesia voglio sentirmi libera e nuda di esprimere quello che conservo nel cuore. Un contro-canto che esuli dai troppi contesti che ancora oggi collocano la buona poesia solo nella sfera di un sentire universale omologante e neutro. Questo è uno dei motivi (non l’unico) per cui i sodalizi letterari e poetici non hanno mai fatto presa su di  me.
Perchè allora aderire al gruppo “La Stanza della Poesia?”
Perché inconsueto e raro, essendo composto da tutte componenti femminili.
A differenza dei molti gruppi misti, dove la voce che assume la predominanza è sempre quella di un genere diverso dal mio, in questo manipolo nessuna nave scuola determina lo rotta, ognuna suggerisce ma non corregge l’altra, che resta libera di scegliere se accettare o no di cambiare una parola, una virgola o anche solo un punto, togliere o aggiungere quello che viene suggerito.
Perché sento che La Stanza della Poesia è il luogo dove sto con agio, imparo, trovo la misura, e posso progettare di portare al pubblico quello che scrivo, qui ho consegnato la schiettezza e ho vinto la reticenza, ho capito che la presenza e il tempo che dedico alla Stanza costruisce una relazione con le altre rara e impagabile: sinergia, rispetto dei tempi di ognuna, lealtà e anche qualche contrasto, un mix complesso da tenere insieme, ma le fatiche… promettono un Oscar per le Starlet della Poesia.
Dice la poeta Anne Sexton, la mia amata Anne “… la poesia, il mio modo per strappare la tela e uscire dal quadro. Il mio modo perdire e capire chi sono: sono una strega, sono una pazza, sono unadonna, sono una persona.”

Bollettini di guerra

Troppe volte hai messo distanza
tanto impegno a farti nemico.
Il rompersi dell’anima
non è una malattia
non si vede
nessuna misericordia
nessuno sconto.
Arrivavi in visita
con fiori in borsa
non son per me,
e te ne vai di corsa.
Dovrei dunque disperarmi
ora che le tue viscere
fanno pazzie?
dovrei preoccuparmi?
Dovrei?
qualcuno lo richiede
qualcuna suggerisce:
Insomma la decenza, la pietas…
Perché sono una donna…
avrei più sale in zucca
perdonare, curare,
e stare zitta?
Ma io sono,
quella della contraddizione
quella che aiuta la rivale
quella che organizza la festa
regalandoti la valigia vaffanculo.
Cosa dovrei fare ora?
Ti vivo come posso
un po’ vicino quando
riaffiora quello che speravo fossi
pregna di compassione
un dover esserci decente
o una sacca vuota
su una sedia d’ospedale,
mentre tu ciatti
con amici, con la gente.
Pura contraddizione
ora è starti accanto.
Lo so! E qui sta il bello
vorrei che di me si dicesse:
era dissacrante, fuori dal comune
un seme fuggito al vaso
un cuore forte, ribelle!
Invece lui, il cuore,
fa rattoppi sotto pelle.

 

Illustrazioni di MARINA MARIANI