Nel cervello con emozione

di Luigi Ripamonti

Neuroni specchio. «Ma sa che proprio non ricordo quando ci è venuto in mente di chiamarli così?» Nessun eureka! allora? «No. Anzi, per molto tempo temevo che potesse esserci un qualche artefatto. Solo dopo molti controlli mi sono convinto che fossero reali».

In questo modo, decisamente sorprendente, parla della scoperta che l’ha reso celebre in tutto il mondo Giacomo Rizzolatti, il neuroscienziato italiano che riceverà, l’8 novembre a Milano, la prima edizione del premio «Lombardia è ricerca», istituito dalla Regione Lombardia, del valore di un milione di euro, superiore a quello del Nobel.
I neuroni specchio sono cellule nervose che si attivano quando compiamo una determinata azione e anche quando quell’azione la compie qualcun altro. Se prendiamo un caffè al bar nel nostro cervello si accendono ( scaricano ) determinati neuroni, che però si attivano anche se vediamo qualcun altro prendere un caffè. Ciò implica che «capiamo» quello che fanno gli altri sfruttando le stesse risorse neurali che usiamo quando facciamo noi la stessa azione. Osservazione e azione sono intimamente legate. Ne può discendere che, più sviluppiamo le nostre capacità di agire, più sviluppiamo quelle di comprendere le azioni eseguite dagli altri, e più sviluppiamo le capacità di capire le azioni degli altri più sviluppiamo le nostre di agire.
«Non a caso oggi vediamo la possibilità di sfruttare i neuroni specchio nella riabilitazione, cioè per fare ri-apprendere rapidamente schemi motori a persone che, per qualsiasi motivo, non li abbiano potuto utilizzare per lunghi periodi» esemplifica lo scienziato.
«Però i neuroni specchio ci hanno aperto prospettive anche su fronti diversi – prosegue —. Ora, infatti, sappiamo che interpretiamo alcune cose con i neuroni specchio, in maniera fenomenologica (qualcuno fa qualcosa e la sua azione in qualche modo risuona in me) e altre in maniera oggettiva, inferenziale (su qualcosa penso, ragiono e capisco). Se estendiamo il concetto alle emozioni, la cosa si fa interessante perché è molto diverso capire l’altro con l’empatia, in maniera fenomenologica, perché i miei neuroni “scaricano” insieme ai suoi, oppure in maniera oggettivo-inferenziale. Un esempio: se so che in un Paese molto lontano hanno ucciso 20 persone mi dispiace, ma non nello stesso modo (emotivo) in cui accade quando vedo soffrire una persona di fronte a me».
Questo può avere implicazioni sociologiche e filosofiche? «Certamente – conferma Rizzolatti —, perché un conto è rapportarsi a qualcuno che percepisco “come me”, altro a qualcuno o qualcosa di “lontano”, “diverso”. In questo secondo caso la componente emotiva è scalzata da quella inferenziale. Durante il nazismo, per esempio, la propaganda contro gli ebrei ha fatto in modo che essi fossero percepiti come qualcosa di differente, inferiore, rispetto ai tedeschi-ariani, e ciò ha cancellato la percezione emotiva, rendendo uomini normali, nel privato buoni padri di famiglia, capaci di crimini orrendi. Psichiatri che hanno visitato Eichmann prima del suo processo lo hanno definito normale, non un mostro».
Un’attenzione storica che non meraviglia in questo figlio di due medici che, sebbene ora diriga un «tranquillo» dipartimento del Cnr a Parma, ha alle spalle, fra l’altro, anche l’espulsione della sua famiglia per cause storico-politiche, da Kiev, dove è nato nel 1937, e dove il suo bisnonno era emigrato dal nativo Friuli.
Volendo invece guardare alle prospettive più strettamente cliniche dei suoi studi e, in particolare, all’impiego dei fondi che gli saranno assegnati con il «Nobel» della Lombardia che cosa si può dire?
«Cercherò di dare il mio contributo a quello che reputo un salto di qualità decisivo nello studio del funzionamento del cervello – risponde lo scienziato —. Ora noi, attraverso esami come per esempio la Risonanza magnetica funzionale e la Pet, siamo capaci di vedere quali aree cerebrali si attivano in determinate condizioni. Ma si tratta di “fotografie”, che non ci informano sul fronte del tempo: non ci svelano in che successione avvengono le attivazioni nervose. Per questa ragione, giudico molto importante la collaborazione che abbiamo avviato con il Centro per la Cura Chirurgica dell’epilessia dell’ospedale Niguarda di Milano. I metodi che vengono adottati in questo centro per motivi clinici permettono, infatti, un’analisi che va proprio in questa direzione. In questo modo potremo passare dall’ottenere fotografie funzionali del cervello a veri e propri film della sua attività».